MARLA 2.22

MARLA #2.22

Normal people

febbraio 2022

MARLA #2.22 - NORMAL PEOPLE

Marla è il magazine di info.nodes, organizzazione no profit attiva dal 2020, costituita da un gruppo di persone che credono in una società libera, aperta, dove ingiustizie e ineguaglianze sono contrastate da una cittadinanza attiva.

Per questo promuoviamo il lavoro di giornalisti di inchiesta, attivisti, civic technologists e di chiunque condivida la nostra visione.

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Playlist

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la playlist MARLA #2.22


A cura di

Davide Del Monte



INTRO


E’ un misto di noia e perdita di potere d'acquisto che ci porterà a insorgere, a compiere azioni di ribellione violente, attentati terroristici letali, come nella non-più-così-ricca Chelsea Marina di James G. Ballard. 


“La protesta della borghesia è solo un sintomo. Fa parte di un movimento più vasto, una corrente che attraversa tutte le nostre vite, anche se la maggior parte della gente non se ne rende conto. C’è un bisogno profondo di gesti gratuiti, e più sono violenti meglio è. La gente sa che la sua vita è inutile, e si rende conto di non poter far niente in proposito. O quasi niente” spiega il carismatico Robert Gould all’attonito David, che ha appena compreso il senso della rabbia montante nella benestante West London.


In antitesi al consumismo nichilistico, la classe media sente finalmente l'irresistibile desiderio di tornare ad essere protagonista della Storia, non solo spettatrice passiva di eventi prima accaduti nel mondo reale e immediatamente dopo serializzati da Netflix per una comoda e tranquillizzante visione casalinga.


Quel SUV - che sta diventando sempre più oneroso riempire di benzina - che ti guarda, parcheggiato dall’altro lato della strada e ti chiede vendetta. Con che spirito lo porti tuo figlio nella scuola in centro città con il gasolio che ormai sfiora i due euro al litro?


Così come l’aumento frenetico del prezzo dei componenti per fabbricare microchip, maledetta obsolescenza programmata dei device, e quelle terre rare che dobbiamo accaparrarci ad ogni costo mentre invece i nostri governi, sonnolenti, stanno lì a guardare. Chissà cosa c’è sotto la Groenlandia, chissà se i russi lo sanno, se i cinesi lo sanno, se gli americani se lo chiedono. L’Europa sicuramente no, se ne frega.


Vivere così, aggiornando meccanicamente il proprio piano pensionistico privato ogni anno, computando quotidianamente il prezzo al litro alla pompa, in fondo, è un po’ come morire.


Tanto vale aggrapparsi con tutta l'anima e con il cuore alla follia russa, in diretta, senza nemmeno dover aspettare che Netflix ci faccia una docuserie. La guerra è pur sempre igiene del mondo, diceva un tale, e noi abbiamo bisogno di lavare via lo sporco di questi ultimi anni di pandemia, di concentrazione economica, di schizofrenia dei flussi finanziari globali, di speculazione spietata.


Che poi, gli investimenti che hai fatto insieme al tuo broker di fiducia non li hai nemmeno capiti. E non hai nemmeno capito se ci hai guadagnato o perso. E’ tutto un acquistare e rivendere criptovalute e NFT e noi comuni mortali, con scarse competenze tecniche ma tanta voglia di investire i risparmi, non riusciamo a stare nel gioco. Hanno cambiato le regole della roulette russa e non ce le hanno volute spiegare.


E allora così sia, riportiamo l’inferno sulla terra, che poi, è anche un po’ colpa della NATO, anzi ho letto in un post che ha girato molto che è quasi esclusivamente colpa della NATO, quindi colpa nostra.

Mia e tua. 


Bruciamo i SUV, le scuole in centro, i wallet pieni di bitcoin, e ripristiniamo quel sano terrore capace di farci ritrovare, un domani speriamo non troppo lontano, il gusto ed il sapore del consumo sfrenato che abbiamo ormai perso.


Seguiamo la strada indicata da Robert Gould, per evitare di diventare Patrick Bateman.


d.d.m

LIBERTÀ E DIRITTI

Con un certa punta d’orgoglio, per nulla mascherata, il Science and Technology Directorate ci informa che i nuovi cani robot si prestano bene a fare la guardia lungo il confine meridionale degli Stati Uniti. “Il confine meridionale può essere inospitale per l'uomo e per gli animali, e questo è esattamente il motivo per cui un robot può eccellere in quella zona”, si legge nell’articolo pubblicato sul sito dell’ente che mette a disposizione le proprie competenze in ambito di ricerca nientemeno che al Department of Homeland Security, ovvero il dipartimento nato dopo l’11 settembre 2001 con lo scopo di difendere il suolo americano.

Evidentemente  muri, soldati e filo spinato sono risultati insufficienti, dato che come si può leggere “in ogni luogo si verificano comportamenti criminali standard, ma lungo il confine si verificano episodi di contrabbando di esseri umani, contrabbando di droga, così come il contrabbando di altre merci, incluse le armi da fuoco e, potenzialmente, anche di armi di distruzione di massa”. La soluzione migliore pare quindi quella di far presidiare i confini dai cani robot muniti di videocamere e, perché no, in un prossimo futuro anche di armi. 

A noi sarebbe sembrato meglio abolire i confini.


*


Non solo i confini, anche le carceri rappresentano un bel problema, soprattutto quando sono sovraffollate. In questo caso puoi far finta di niente e girare la testa dall’altra parte con noncuranza, come fa l’Italia da decenni, ma puoi anche trovare delle soluzioni che ti consentano di non risolvere il disagio, ma di non averlo più davanti agli occhi.

La strategia della polvere sotto il tappeto, insomma, applicata al sovraffollamento carcerario.

È la soluzione che ha deciso di adottare l’avanzata Danimarca firmando un accordo con il Kosovo, per “delocalizzare” i propri detenuti in eccesso in quel paese.

Come racconta  Ignazio Juan Patrone, membro del comitato scientifico di Antigone, su Questione Giustizia, “L'accordo siglato a Pristina il 20 dicembre 2021 dal Regno di Danimarca e dalla Repubblica del Kosovo ha ampliato l'utilizzazione della delocalizzazione da industriale a penitenziaria, applicandola direttamente al carcere e, per ovvia conseguenza, ai carcerati ivi reclusi”.

Non possiamo che concordare con l’autore dell’articolo, quando sottolinea come “l'accordo in questione è il frutto di una pericolosa e cinica concezione economicistica dell'esecuzione penale, secondo uno schema che in buona sostanza è di tipo privatistico perché teso al risparmio di denaro e risorse senza troppo preoccuparsi delle persone che devono subire un tale trattamento”.


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È ovviamente negli Stati Uniti che il settore privato ha costruito un vero e proprio business miliardario basato sulla gestione privatistica delle carceri, a partire dagli anni ‘80. Business che non si è più di tanto preoccupato dell’ordine esecutivo, emanato da Joe Biden a inizio 2021, per proibire al dipartimento della Giustizia di rinnovare i suoi contratti con le carceri private. Il motivo di tale atteggiamento è semplice: come spiegava Matteo Cavallito su Valori, da alcuni anni le aziende che gestiscono le carceri federali si sono mosse verso un mercato ancora più florido, quello della “gestione” dei migranti.


GIUSTIZIA SOCIALE

La guerra è guerra, ma come per la pandemia non siamo tutti sulla stessa barca: c’è chi affonda in una bagnarola e chi può tranquillamente solcare l’oceano in tempesta su uno yacht di lusso.  E’ il caso degli oligarchi ucraini che hanno deciso di prendere i loro jet privati e scappare dal Paese, in vista del possibile attacco russo.

Come riporta Vice, è dovuto intervenire addirittura il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, che ha richiamato i suoi super ricchi connazionali a rientrare per prendersi cura dei propri lavoratori. Bisogna dire che alcuni dei miliardari volati via, hanno spiegato di essere semplicemente in viaggio d’affari: d’altra parte, che i super ricchi viaggino di continuo, impattando in maniera disastrosa sull’ambiente, è cosa risaputa.

Le disuguaglianze non si manifestano solo all’aeroporto, tra chi prende un Rayn Air e chi il suo jet privato, ma iniziano a incidere sulle nostre vite già a scuola. 


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“Il gap fra i giovani emerge già prima della scelta universitaria, come dimostra l’ultimo rapporto Almadiploma” scrive Cristina Da Rold su Info Data.  “Il titolo di studio dei genitori incide notevolmente sulla scelta della scuola superiore. Avere genitori laureati aumenta di oltre due volte e mezzo la probabilità di iscriversi a un liceo rispetto a chi non ha i genitori diplomati”. Il rapporto fa emergere un altro aspetto interessante. Sembra che l’innalzamento dei livelli formativi interni alla famiglia, continua Cristina Da Rold, sia da attribuire principalmente alle donne. “Le differenze di genere sul contesto culturale e socio-economico di provenienza – si legge – mettono in evidenza che, tra chi conclude gli studi universitari, le donne presentano una minore selezione basata sul contesto familiare di quanto succeda tra gli uomini; probabilmente ciò è dovuto al fatto che non solo proseguono gli studi dopo il diploma più degli uomini, ma anche che lo fanno provenendo da contesti familiari meno favoriti.”

Che roba, contessa.


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Parlando di laureati e laureate, scriveva Il Fatto Quotidiano a ottobre 2021, giova sempre ricordare che l’Italia è indietro rispetto all’Europa per quanto riguarda i livelli di istruzione. Solo il 20,1% della popolazione (fra i 25 e i 64 anni) ha una laurea contro il 32,8% dell’Ue. Detto questo, il livello di istruzione delle donne rimane più elevato di quello maschile: le donne con almeno il diploma sono il 65,1% e gli uomini il 60,5%. Una differenza più alta di quella osservata nella media Ue27, pari a circa un punto percentuale. Le donne laureate sono il 23,0% e gli uomini il 17,2%.

Eppure tutto ciò non si traduce in un vantaggio in ambito professionale o economico, come abbiamo tristemente constatato nella nostra inchiesta “Sesso è potere”.


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La speranza di ridurre questi gap (sociali, economici, di genere) è riposta nel PNRR, il Piano di ripartenza italiano da oltre 200 miliardi di euro. Peccato che, come denunciano The Good Lobby e IRPI Media, i negoziati che hanno portato alla stesura di questi piani in tutta Europa siano tutto tranne che trasparenti. Anzi, la prima cosa che hanno notato quando hanno iniziato il lavoro d’inchiesta

Recovery Files è che “i piani sembravano esser stati decisi da gruppi ristretti di membri dei governi e della Commissione Europea, con un contributo però molto forte, almeno a giudicare dalle agende dei ministri, di una selezionata schiera di interessi privati.


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A chiedere maggiore trasparenza e accountability per il PNRR c’è anche la campagna #DatiBeneComune che ha ormai superato le 260 organizzazioni aderenti. Venerdì 18 febbraio hanno pubblicato il primo capitolo del dossier “I dati che vorrei” contenente tutti i “desiderata” della società civile sui dati per monitorare i progetti del PNRR.

Chissà se dopo aver tenuto segreto tutto il percorso di scrittura del Piano, il Governo deciderà di aprire alla conoscenza pubblica almeno l’attuazione.


EMERGENZA CLIMATICA

“Il movimento artistico e culturale che sogna di superare il capitalismo e la crisi climatica attraverso l’ottimismo verso la tecnologia, può darci qualche spunto per un mondo più sostenibile?” è la domanda da cui parte la riflessione di Laura Carrer pubblicata da siamomine sul movimento “solarpunk”.

Chissà se davvero, come preconizzato dal manifesto di questo giovane movimento, ci troveremo in un futuro non troppo lontano a vivere in “grandi metropoli, simili a quelle odierne, dove però si intersecano e accavallano trasformatori di energia in continuità con il regno vegetale, selezionato per favorire l’immagazzinamento di luce naturale e per fornire l’apporto di cibo necessario al sostentamento della popolazione che vi abita” o se invece tutto ciò sarà solo l’ennesimo tentativo di immaginare un mondo diverso e più bello, a cui però toccherà soccombere sotto i colpi del tardo capitalismo che non sembra proprio aver interesse a farsi da parte.

La costruzione di questo immaginario non è purtroppo una prerogativa dei soli movimenti grassroot o delle filosofie di pensiero e azione più radicali, che partono dalla visione di un nuovo contratto sociale basato su principi di solidarietà, inclusività, uguaglianza. 


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Anzi, a questo immaginario partecipano in modo massiccio i maggiori colossi del capitalismo mondiale. Attraverso le strategie di washing marketing (greenwashing, pinkwashing, e chi più ne ha più ne metta), le stesse aziende che hanno contribuito alla devastazione del Pianeta e all’estremizzazione delle disuguaglianze sociali, si ergono oggi a paladine di un mondo migliore.

Mickaël Correia, in un articolo ripreso da Internazionale, elenca diversi esempi di attività comunicative di questo tipo elaborate da aziende operanti nel settore petrolifero. 

“Da qualche tempo” scrive “le multinazionali del petrolio affermano che le energie fossili hanno un impatto positivo sulle comunità più discriminate e addirittura contribuiscono all’emancipazione delle minoranze, in quanto lo sfruttamento del petrolio e del gas è sinonimo di sviluppo economico e quindi necessariamente di riduzione delle ingiustizie. Questa nuova pratica comunicativa delle imprese è stata battezzata dai ricercatori wokewashing (grosso modo, attivismo di facciata)”. 


FACTS ARE FACTS.

FICTION IS FICTION.

22 delle 30 città più inquinate del mondo si trovano in India, dove il triste primato spetta a Nuova Delhi. In Italia, la situazione della Pianura Padana, penalizzata dall'inversione termica che schiaccia gli inquinanti verso il basso e da decenni di rinvio dei piani anti smog, è tra le peggiori di tutta l’Europa. [Euronews]


Centocinquantadue giornalisti nei cinque continenti hanno rastrellato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici, e ottenuto centinaia di documenti giudiziari e finanziari. Il leak contiene più di 18mila conti bancari aperti dagli anni Quaranta fino all’ultima decade degli anni Duemila. In totale, lo scrigno è di oltre 88 miliardi di euro. [IrpiMedia]


Solo nel 2022 l’Italia deve conseguire complessivamente 100 obiettivi per il PNRR di cui 83 milestone e 17 target. Di questi ben 45 sono da conseguire entro il 30 giugno 2022, a cui è collegata una rata di rimborso di € 24,13 miliardi, e 55 entro il 31 dicembre 2022, per la quale è associata una rata di rimborso pari a € 21,83 miliardi. [DatiBeneComune]


L’Istituto nazionale per le migrazioni (Inm) del Messico ha individuato e arrestato negli ultimi otto giorni 5.020 stranieri che si trovavano sul territorio messicano in condizioni irregolari. In un comunicato diffuso il 20 febbraio 2022, l'Inm ha indicato che si tratta di "persone provenienti da 23 diverse nazioni, la a maggior parte da Centro e Sud America". [Ansa]


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