Samizdat3



SAMIZDAT #3

UN VENERDÌ MOLTO NERO

aka IL BUSINESS MODEL DELLE PIATTAFORME? ELUDERE LE TASSE

Il BlackFriday è alle porte: siamo pronti a cliccare furiosamente alla ricerca della migliore offerta, di quella che ci consenta di “fare l’affare”…

Peccato che l’affare non siamo certo noi a farlo, magari come clienti qualcosa risparmiamo, ma come cittadini la realtà è molto diversa. Senza toccare temi come la graduale, inesorabile erosione dei diritti dei lavoratori e il pesantissimo impatto ambientale delle attuali modalità di produzione, consumo, spreco promosse dalle piattaforme, concentriamoci solo sugli aspetti fiscali. Quante risorse perdiamo a causa dell’elusione strutturale delle piattaforme digitali e perche’?

 

LA PANDEMIA HA AUMENTATO PROFITTI PRIVATI MA NON LE RISORSE PUBBLICHE


Le piattaforme non pagano meno tasse a causa della crisi post pandemica, piuttosto il contrario, in pandemia i profitti sono aumentati. Mentre nel 2020 in Italia 200.000 aziende hanno chiuso per il covid e il crollo dei consumi ed è esploso il numero di nuovi poveri, Amazon continua a registrare record di profitti e il suo fondatore Bezos ha raggiunto la cifra quasi impensabile di 200 miliardi di dollari di patrimonio personale.


Certo, qualcuno potrebbe obiettare che siamo semplicemente di fronte al legittimo risultato di un business model vincente. In realtà, anche se così fosse, siamo comunque di fronte a una concentrazione di ricchezza e, conseguentemente, di potere, nelle mani di pochissimi, che può mettere a rischio, se non lo sta gia’ facendo, le nostre democrazie.


Ma il fatto è che questo modello di business consente profitti così smisurati anche e soprattutto perché prevede, con metodo, scientificamente, un costante e impietoso sfruttamento delle lacune del sistema fiscale internazionale. Detto altrimenti: Bezos le tasse fa di tutto, ma proprio di tutto per non pagarle.

 

ZERO TAX BUSINESS MODEL


Un esempio.

A Maggio 2021 il  Guardian ha rivelato che tutte le vendite europee di Amazon nel 2020 (44 miliardi di euro) sono state registrate nella filiale lussemburghese della multinazionale, dove l’azienda ha regsitrato profitti negativi ed ha pagato zero tasse. Sì, avete capito bene, ZERO. Nel Granducato l’azienda ha 5.262 dipendenti, quindi ha registrato 8.4 milioni di euro di vendite per ogni dipendente.


Registrare le entrate e quindi i profitti in un Paese con tassazione “agevolata” è una pratica che le piattaforme digitali (siti di acquisti online, motori di ricerca, social media e servizi streaming) possono facilmente utilizzare, grazie ad una lacuna del sistema fiscale globale. Per un’azienda tradizionale la tassazione dei profitti avviene nel Paese dove questa ha una presenza fisica e questo consente, proprio attraverso il sistema fiscale, che ci sia una restituzione e distribuzione delle risorse: io azienda uso le strade ma contribuisco a sostenerle, i miei lavoratori si possono ammalare e ricorrere alla sanità pubblica che io supporto con le mie tasse, e lo stesso vale per le scuole, i trasporti locali, eccetera.


Peccato che le piattaforme digitali, per definizione, per come sono state concepite, non hanno alcuna presenza fisica specifica in questa o quella Nazione e il numero e provenienza di consumatori e user non determinano a oggi alcun obbligo di versamento fiscale in uno specifico Stato. Perfette interpreti dell’attuale globalizzazione, le piattaforme, a differenza di altre aziende e soprattutto di PMI, artigiani, cittadini hanno la possibilità o, meglio, il potere di scegliere dove pagare le tasse e, ovviamente, scelgono i Paesi in cui si paga poco o nulla (ad esempio Lussemburgo per Amazon, l’Irlanda per Google, Apple e Facebook ). 


Le astuzie di Bezos e soci non finiscono qui.


Un altro meccanismo che le grandi multinazionali, comprese le piattaforme digitali, utilizzano per pagare meno tasse riguarda la proprietà intellettuale o royalties. Essendo il marchio o il brevetto un “bene immateriale” non collegato ad una presenza fisica, le multinazionali possono scegliere dove registrarlo, spesso anche in questo caso in un Paese a tassazione agevolata, e spostare quindi ingenti profitti in quello Stato con la motivazione, spesso abusata, del pagamento di royalties.


Un altro sistema elusivo, molto usato ad esempio da Amazon, è quello di reinvestire in continuazione i profitti nelle miriadi di piattaforme del suo gruppo, prima quindi che possano essere tassati e registrare alla fine dei profitti nulli o negativi.


Questi e altri stratagemmi rappresentano un aspetto fondamentale dei più vincenti modelli di business contemporanei. Già prima della pandemia, si stima che le 6 maggiori big tech americane (Amazon, Facebook, Google, Netflix, Apple e Microsoft) abbiano eluso 100 miliardi di dollari nel decennio precedente. A questo si sono aggiunti i profitti record registrati da queste stesse aziende durante la pandemia. Nel 2020, primo anno di pandemia, quello dei lockdown e dell’impennata nell’utilizzo dell’online anche da parte di fasce di popolazione inedite, le quattro grandi aziende tecnologiche "GAFAM" (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) hanno realizzato quasi 46 miliardi di dollari in profitti aggiuntivi.

 

SE NON LO PAGA BEZOS, LO PAGHI TU


Considerata la magnitudo di questi profitti, se queste aziende fossero tassate come i loro lavoratori, avremmo miliardi di risorse da utilizzare per l’assistenza sociale, il sistema sanitario, la scuola pubblica.


Il paradosso è infatti che mentre un lavoratore medio negli Stati Uniti è in media sottoposto a un’aliquota fiscale del 22%, l’aliquota federale per Amazon è solo del 9%. Se Amazon pagasse l'attuale aliquota di imposta sulle società degli Stati Uniti del 21%, contribuirebbe per 2,5 miliardi di dollari di tasse aggiuntive all'anno, sufficienti ad esempio per fornire accesso al programma alimentare nazionale statunitense per 1,7 milioni di americani. O ancora: una tassa equa sugli enormi profitti extra registrati da Amazon negli USA durante la pandemia, produrrebbe 11 miliardi di entrate aggiuntive, sufficienti per vaccinare 580 milioni di persone in tutto il mondo. E ancora: durante la pandemia Bezos ha visto aumentare la propria ricchezza personale di 86 miliardi di dollari. Se anche si riconoscesse un bonus di 65.000 dollari a ciascuno degli 1,3 milioni di lavoratori di Amazon, resterebbero comunque ancora a Bezos 113 miliardi di dollari, l’equivalente della ricchezza che aveva prima della crisi covid. Con una tassa una tantum sul patrimonio di Bezos si potrebbero pagare gli stipendi annuali di 191.000 dottori o di 558.000 infermieri, costruire 3.600 ospedali.

 

MAKE AMAZON PAY


Come facciamo a recuperare queste risorse?

Di recente quasi 140 Paesi del cosiddetto Inclusive Framework dell’OCSE hanno raggiunto alcuni accordi in ambito fiscale, accordi che, una volta implementati, dovrebbero riuscire a ridurre queste pratiche di elusione sistematica. Si tratta, semplificando, dell’introduzione di un livello di tassazione minima (al 15%) e della ridistribuzione di una porzione dei profitti extra delle maggiori multinazionali ai Paesi dove avvengono le vendite.


Tuttavia, fino a quando non si procederà a una riforma complessiva del sistema di tassazione intrenazionale, cambiando la regola della presenza fisica o il sistema di pagamento delle royalties, non sarà possibile arrivare a una reale equità fiscale. E, dall’altra parte, i padroni delle piattaforme non stanno certo a guardare, non solo utilizzando sempre nuove modalità elusive, ma accreditandosi mediaticamente come benefattori, donors, generosi filantropi, sempre però secondo il principio che i soldi sono miei e decido io che cosa farne (non tu Stato a cui riconosco delle risorse).


E noi? Noi cosa possiamo fare?


Intanto possiamo pensare a quanto letto in queste righe prima di cliccare sul prossimo grande affare ed unirci alla mobilitazione di MakeAmazonPay.

 

Novembre 2021



Bibliografia minima:


  • Power, Profits and the Pandemic, Oxfam, Settembre 2020
  • Silicon Six Report, Fair Tax Mark, Dicembre 2019
  • The Triumph of Injustice: How the Rich Dodge Taxes and how to Make Them Pay, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, 2019 


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